La partenza e
gli sviluppi della vicenda di Nunzio Battaglia si ricollegano,
in apparenza, a quelli di
una generazione precedente. La fotografia a colori per autori
come Ghirri, Chiaramonte, Cresci, Barbieri, era invenzione di
possibilità nuove di relazione visiva con
il mondo esterno basate su una conoscenza precisa del paesaggio
evitando ogni cristallizzazione accademica. Battaglia decide
di essere fotografo nel 1993, è recente la fine di Ghirri
e la nuova fotografia di paesaggio italiana è già esperienza
storica. Da quelle ricerche trae l’idea che con le immagini
si possa costruire un’enciclopedia del visibile per combinatoria
infinita di visioni e figure. E poi il rallentamento dello sguardo
per dilatarne la durata, in una riflessione volta alla propria
percezione e alla scoperta dell’esterno.
Dalle riprese in grande formato
di acuminata descrizione, il percorso dell’autore passa a
sfocature selettive che mimano la percezione oculare filtrata dalla
memoria, e poi alla loro rielaborazione digitale, quindi all’abbandono
definitivo dell’equivalenza definizione/esatta descrizione.
Vediamo,
così, immagini come di penombra, e si acuisce il senso
delle ambiguità del percepito. Più che sfocature
troviamo rilievi ben individuati di ombre liquide e sfuggenti.
I volti delle sue foto perdono i tratti qualificanti e scatenano
associazioni tutte interne: le macchie di luce come di fantasmi
nel museo di Amburgo, la maschera abbandona
ogni possibilità di recupero etnografico, si avvicina ad una evocazione
funebre e sensuale da Secessione mitteleuropea.
Munch è fortemente evocato da qualcosa della cui realtà non siamo
poi così sicuri: il volto per Battaglia non è occasione di ritratto
ma luogo di condensazione di mentalità collettiva e esperienza individuale.
Le palme sono ridotte al segno quasi astratto di sé, indicano una geografia
più del pensiero collettivo che dell’esperienza odeporica. Colori
come di giocattoli, come viaggi dentro vecchi flipper, sono colori del sacro
dal lontano oriente dove Battaglia sa riallacciare minuscoli ricordi alla visione
del grande Mondo.
Paolo Barbaro. |
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The
start and successive developments of Nunzio Battaglia’s
work apparently link to those of an older generation. To authors
like Ghirri, Chiaramonte, Cresci, Barbieri, color photography
was the discovery of new possibilities of visual relationship
with the outside world, based on a precise knowledge of the landscape
and avoiding any academic crystallization. Battaglia turns to
photography in 1993: Ghirri’s passing is recent and the
new Italian landscape photography is already history. Drawing
from that experiences, he proposes to shape an encyclopedia of
all things visible, infinitely combining visions and figures.
Then comes the slowing of vision so as to expand duration, addressed
both to his own perception and to the discovery of the outside
world. Starting from large-sized, sharp shots, the author turns
to selective blurs that mimic ocular perception as filtered by
memory, then to their digital reprocessing, finally giving up
the definition/description equivalence. We now see somewhat half-lighted
images, and the sense of ambiguity of what is perceived is strengthened.
More than blurs, we are now confronted with well-identified reliefs,
liquid and shifting shadows. The faces in his pictures lose the
qualifying traits and trigger all-internal associations: spots
of light are like ghosts in the Hamburg museum, the mask abandons
any possibility of an ethnographic recovery, and approaches e
funereal and sensual evocation of the Mittel-european Secession.
Munch comes to mind because of something of whose reality we
are not so sure: for Battaglia, the face is not meant for portrait,
and serves instead as a place condensing the collective mind
and the individual experience. Palms are reduced to the quasi-abstract
sign of themselves – they indicate a geography of thought
more than an odeporic experience. Colors as if they were toys,
as if travelling inside old pinball machines; they are colors
from the sacred from the Far East, and through them Battaglia
manages to link tiny memories to the sights of a whole world.
Paolo Barbaro |