LUCI CELTICHE

di Gigliola Foschi

Irlanda. Arcobaleni simili all’arco di un dio, lasciato cadere per trascuratezza al confine tra la terra e il mare; promontori di sabbia, rocce ed erbe, infestati dai fantasmi; montagne coronate da tumuli dove vaste nubi celano la presenza della Signora Bianca, la regina Medb che elargisce l’acqua; alberi tra le cui fronde le voci si dissolvono nel crepuscolo; e poi paludi di torba, strade, pendii, dirupi, scogliere popolate di folletti, di donne senza testa, uomini con la corazza, lepri-ombra, cani da caccia con la lingua di fuoco, foche fischianti…
“Poggia l’orecchio alla collina. / Non senti il flebile ticchettio, / Gli indaffarati colpi del martello di un elfo, / La stridula voce del leprecano che canta / Tutto contento mentre lavora? “ recita un’antica ballata irlandese.
Cosa raccontano le nuvole basse e iridescenti che corrono veloci sulle Cliffs of Moher? E le colline ricoperte d’un erba verde, rasata come il tappeto d’un tavolo da gioco? E i sambuchi, i susini selvatici, i faggi, gli olmi, i cespugli di fucsie che scendono fino al mare? “Per il contadino saggio le colline verdi e i boschi intorno a lui son pieni di un mistero che non svanisce mai” racconta il poeta W. B. Yeats.
“Poggia l’orecchio alla collina…” suggeriva la ballata. Ma l’occhio, invece, dove e come deve guardare per non rimanere intrappolato solo nell’incanto superficiale del bel panorama?
Facile infatti sarebbe lasciarsi sedurre dalle scenografiche scogliere dell’Irlanda occidentale, dove nubi di gabbiani vorticano in danze frenetiche, o dai prati smeraldini che ricoprono morbide colline. Eppure la tentazione del pittoresco è proprio quella che va evitata, se non si vuole ridurre la natura a piatta immagine di consumo.
“La passione celtica per la Natura sorge dal senso del suo mistero piuttosto che dalla sua bellezza” ribadisce Yeats con tenacia.
Ma noi del “Bel Paese” spesso ignoriamo tale mistero: nei tramonti vediamo solo luci rosate e non immaginiamo schiere di morti incamminarsi dietro il sole.
E la fotografia poi, figlia del secolo della tecnica e della razionalità, come può cogliere ciò che va oltre il visibile, ciò che non è solo spenta e seducente bellezza?
Forse può, come ha fatto Nunzio Battaglia, iniziare col rinunciare alla “bella veduta”, alle riprese con la luce “giusta”, alle inquadrature che evidenziano scenografie e meraviglie naturali a un punto tale da trasformarle in fondali di uno spot pubblicitario.
Nonostante Battaglia fotografi anche le scogliere più celebri dell’isola
– come le Cliffs of Moher – ci si accorge che, anziché puntare l’obiettivo verso il bello, egli preferisce fare un piccolo passo indietro: sembra ritrarsi verso una visione più instabile, delicata, che rivela come per lui la bellezza del paesaggio non consista nella veduta mozzafiato cara ai depliant turistici, ma nella misteriosa Presenza della Natura.
Una Presenza potente e sommessa, che emerge grazie a uno sguardo capace di ascoltarne i fremiti, di seguire le nuvole lanose accarezzate dal vento, attendere la discesa del sole, l’affievolirsi di un arcobaleno in lontananza.
Costruite in sequenze che s’intrecciano e si ramificano, le sue immagini rivelano il farsi dell’esperienza, dilatano i tempi della percezione, ma soprattutto mimano e assorbono il ritmo latente e mutevole del paesaggio irlandese.
Lontano da tentazioni concettuali, Nunzio Battaglia moltiplica le immagini non per destrutturare le certezze della visione, ma per sfuggire alle facili illusioni ottiche del troppo bello, e far emergere invece un’altra bellezza, fatta di forza e incantamento, aura e mistero.
“Le parole sono sempre ostaggi; appena concesse al mondo profano, subito questo ne fa reti, gabbie. Come preservare il significato dalla fatale sorte d’ogni significante?” si chiede Elémire Zolla, che suggerisce: “Consiglio di cambiare costantemente la parola. (…) In guardia dall’ipnosi dei termini, delle formule. Variamoli viceversa, senza indugio. A vortice.
I canti sciamanici sono rosari di sinonimi, la loro moltiplicazione dei simboli è vertiginosa.”
Ecco, forse le immagini di Nunzio Battaglia – come le parole cangianti suggerite da Zolla – si frantumano e si moltiplicano, simili ai sinonimi degli sciamani. In questo modo sfuggono alla gabbia delle definizioni univoche. E delicatamente, intensamente si sporgono al di là del dominio delle mere parvenze, delle belle forme..

Gigliola Foschi,
note alla presentazione della mostra
IN_TRANSITIVA-01


Chiudi