TRA STUPORE E CONSAPEVOLEZZA

di Nunzio Battaglia

Del mondo, mi ha sempre interessato il suo farsi visibile, quel divenire testimone e indizio di eventi e di tempo.
Ho iniziato a fotografare cercando di registrare occasioni che apparivano di bellezza e di stupore, annotando configurazioni e geometrie; un fare di pellicola e memoria.
Tralasciare ogni altro riferimento: odori, suoni, sapori, diventare autonoma isola dello sguardo.
Ho lavorato per anni in questa condizione del catturante, del collezionista sommerso, che accoglie in sé spiragli di possibili verità di cartapesta.
Da non molto tempo non colleziono più ritagli di vero visibile. Accordo come musicista, corrispondenze sottili tra un sentire e un essere.
Non penso di essere un fotografo, penso di avere amato in passato i cantastorie e, dopo di essi, ogni cantore.
Non ho mai fotografato Milano. Raramente mi ha accompagnato l'idea di poterne carpire alcuni interstizi di senso. Più spesso mi è accaduto di dare una corrispondenza visiva ad una mancanza, ad un soffocamento, nel tentativo reiterato di costruire l'occasione di un salvifico incontro con l'Altro. Accadeva già quando ero bambino. Come molti di allora, ebbi in regalo una scatola di costruzioni in legno. Piccoli prismi disegnati ad acquerello costituivano quel totale di una prassi combinatoria. Bozzoli di un fondare, di raccontarsi ogni pomeriggio d'autunno un variare di private cosmogonie, un alternarsi delle mutazioni in forme di chiesa ed edifici. Mi stancai presto di quel gioco, e quando arrivarono quelli in plastica mi limitai a tenerne in tasca due o tre pezzi sui quali insistere, immaginandoli ogni cosa, animali, convogli, altro. Mi resi conto più avanti che immaginare e configurare infinite animazioni, a partire da tutto ciò che potevo stringere in un pugno, era per me più appagante che soggiacere alle limitanti, per così dire, affezioni della sostanza. Nessun rimpianto per la rotonda verità della visione panottica, ma un autentico piacere nella compagnia di tracce, orme, calchi, racconti brevi che attraversano - senza sostarvi - il cuore della materia. Mi accorsi che non guardavo il mondo dalla livella di un teodolite, ma dal mirino di una macchina fotografica: qui ritrovo il ripetersi del baratro della replicanza, il ripetersi della storia, quel costante prendere atto della propria esistenza, magari passando davanti alla grazia esibita da un "antico familiare"; un circo, una radio, un segno appena.

Nunzio Battaglia,
in Città d'anima, The C, Milano 1999


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