di Matteo Collura

Una immagine fotografica che viene esposta in una mostra o riprodotta in un libro deve avere delle caratteristiche di arte e di tecnica (l'aspetto sociologico è una cosa a parte, nella quale non intendo imbarcarmi) sulle quali si può discutere, ma senza le quali una fotografia rimane un pezzo di carta e basta.
Ecco, prendiamo queste immagini di Nunzio Battaglia: esse tutto sono tranne che semplici fotografie. Non è una banalità, perché mi sto sforzando di dire che la semplice fotografia - a parte, s'intende, quelle che riguardano i nostri più delicati affetti - vale quanto una semplice frase detta o scritta in una brevissima parentesi di quell'immenso e immobile deserto che chiamiamo tempo.
Ma cosa sono queste immagini che Nunzio Battaglia distilla servendosi di un alambicco mentale che sembra essere tutto suo? Non saprei dirlo con precisione, ma ci provo.
Alcune fotografie di Battaglia che ho visto sono state fatte in Sicilia, terra dalla quale lui ed io veniamo.
Ebbene, osservando quelle immagini, e forse più dopo, ripensandoci e ricostruendole mentalmente, colori compresi, mi pare assomiglino a certi lampi -propriamente lampi- che internamente ci abbagliano nei momenti più disparati. Lampi questi, che non aiutano né stimolano il ricordo, ma che in quella frazione di secondo riescono a dare il senso, la sintesi più inarrivabilmente efficace, per me, della Sicilia.
Niente è mutato così tanto nel mondo civilizzato, sappiamo bene, quanto in questi ultimi anni.
E i colori, le incrostazioni, le ibridazioni, le suburre più o meno incementate e plastificate sono lì a provarlo (non volevo, ma sto facendo sociologia); e quanto l'abbagliante solarità siciliana accentui tutto questo sfacelo può saperlo chi, in quell'isola, ha vissuto non soltanto svagati momenti vacanzieri o tutto sommato piacevoli consulenze a termine.
Sembrano rabbrividire pur sotto un sole estivo, le città che Battaglia fotografa in lontananza, tenendo in primo piano ruggini e croste, e i décollages sembrano abbassare al livello della carta straccia i miti che i manifesti intenderebbero celebrare; e i cieli sovrastano, fino a renderle inessenziali, sottili lingue di campagna o di mare: l'una e l'altra, ormai, incapaci, sembrerebbe, di portare da qualche parte.
Noterete qui, tra le altre, una foto che mostra alcuni giovani impegnati in una gara di tuffi, a Gela. E' la più strampalata e nello stesso tempo veritiera immagine fotografica che mi sia stato dato di vedere. Sull'aspetto formale, sull'equilibrio che le è proprio, sul valore squisitamente artistico sorvolo.
Dico soltanto che questa foto mi ha restituito il senso di un romanzo che, anni fa, mi aveva incantato e che tante cose della Sicilia e del mondo mi ha fatto capire.
Quel romanzo s'intitola Gli anni perduti e il suo autore è Vitaliano Brancati.

Matteo Collura,
in Città d'anima, The C, Milano 1999


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