Il prodotto iconografico di questo
volume nasce dallo stupore di un ritrovarsi ancora, dopo dieci anni
di assenza, in una caleidoscopica Palermo, dove ho avuto la fortuna
di consumare la mia giovinezza inseguendo affollate lezioni, in aule
"indianizzate" della facoltà di Architettura.
La caduta nel tempo comincia anche per colpa dell'ignaro studente
della facoltà che, nominato aiutante sul campo, mi offre la
propria dimora in condivisione d'affitto.
Il baratro delle lancette si estende perché lo scalone che
porta alla dimora è lo stesso che conduceva appunto, in un
passato non molto lontano, alle notti insonni dei progetti di composizione,
quando ci si azzuffava per questioni di linee e direzioni, e non era
insolito ritrovarsi addormentati e ricurvi sul tecnigrafo, con la
mano ancora solerte a dare vita a un segno.
Ho coscienza di essere ritornato perché ritrovo immutato quel
fumo che le coperte continuano ad emanare, lo stesso di quando le
sigarette bruciavano alacremente nelle lunghe giornate giovani della
vita, incrociando i piedi con l'altro, nei conti comuni alle voci
detersivo, gas e ovviamente caffé .
Comincia così questo viaggio con privato fuso orario, dalle
vette più alte, dai riservatissimi condomini, dalle camere
da letto e dai tetti di un intorno ammalorato e glorioso di cupole
di marzapane, di lezzi e di antiche essenze.
L'occhio si arrampica e conquista inediti cannocchiali della memoria
e del desiderio, scava discretamente nel cuore di condomini erosi
dal terrore di una malsana complicità.
Il viaggio continua con tono diverso nelle passatoie scarlatte e ottonate
del Palazzo, quando ci troviamo a contrastare con il nostro abbigliamento
le poltrone sinuose e dorate sulle quali facciamo anticamera e le
odorose presenze in rigore blu che si alternano e svicolano tra porte
e lunghe prospettive di piani sequenza.
Gli spazi cominciano allora a concedersi benigni nella propria intimità
di ombra e di racconto, diventano bottino prezioso da riporre nella
sacca del meditatoio.
Il giardino, per scelta, diventa il luogo della sosta, l'ambito paradiso
del cuore e dell'odore del colore. Lui sarà ripreso come meritato
incanto, come conquista dopo il lavoro. Infine vengo sospinto verso
gli ultimi ammalianti interventi di architettura contemporanea, molti
dei quali ancora in cantiere, e da una scala al sapore di suk intravedo,
come fosse la strada del ritorno un pezzo della lontana Palermo.
Il lavoro continua al computer quando una batteria di otto monitor
trita e imbastisce cloni, visti poco tempo prima dietro un vetro smerigliato.
È esaltante vedersi moltiplicato nella visione. La notte passa
come in una bisca. Si arriva al ragionamento. Tre mucchi, tre magneti.
Le immagini progrediscono divenendo racconto. Si fa strada l'itinerario
modulato dal gioco degli accostamenti e delle similitudini, per luce
e ombra, per dentro e fuori, per avvicinamento e panoramica.
Così questo racconto fatto a Palazzo d'Orléans diviene
forma e definitiva stesura.
Qui per un istante ho visto il farsi notizia delle decisioni; ho sognato,
Re magio improvvisato, un'udienza immaginata con gli Orléans.
Qui, sulla tolda di una nave dal nome Sicilia.
Nunzio Battaglia,
in Testo e Contesto. Palazzo d'Orléans,
The C, Milano 1998
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