IL PAESAGGIO DELLA COSCIENZA

di Roberto Mutti

Non si può guardare ad un paesaggio con la distaccata serenità con cui si osserva un oggetto perché nel paesaggio si ritrova la nostra storia o addirittura, come diceva con felice intuizione il filosofo tedesco Friedrich Schelling, la nostra coscienza "pietrificata".
Il mondo non è un fondale inanimato davanti a cui si recita la vita degli uomini ma uno specchio in cui si riflettono il sentimento e la paura, l'angoscia oscura e la felicità saettante di un'illuminazione improvvisa. Parlando della sua terra e parlandone con il mezzo fotografico, che più gli è consono, Nunzio Battaglia scava proprio alla ricerca di quella coscienza sepolta sotto la sabbia, sfilacciata nelle nuvole, proiettata verso un orizzonte infinito, imprigionata nelle pietre di tufo butterato dal vento su cui gli uomini hanno saputo, un giorno non molto lontano, dipingere un cielo bello come sanno esserlo i sogni.
Che sia la Sicilia la terra di cui parliamo non è però solo il dato autobiografico dell'autore perché tutti noi con quei paesaggi carichi di simboli antichissimi continuiamo a fare i conti: la nostra cultura affonda le radici nel mito, si perde nello sguardo alterno di Dionisio e di Apollo, riacquista un senso quando si confronta con creature mostruose (i Ciclopi e le Sirene, l'uomo-capro che danza e il dio-toro che uccide) per scoprirle come proiezione del pensiero di quegli stessi uomini che se ne immaginavano vittime.
Non sono i templi o le antiche rovine l'orizzonte ideale della visione di Nunzio Battaglia ma la linea netta proiettata verso l'infinito dove si confondono gli elementi che da vicino appaiono separati: la terra, il cielo, il mare.
Il suo sguardo sa cogliere l'astratto attraverso esigui frammenti di realtà che colpiscono i sensi come l'odore del ficodindia, il suono ossessivo delle cicale sotto il lampeggiare del sole, quel qualcosa d'aspro del mare che ti senti addosso come una rugiada salmastra. La capacità di astrarre, lontanissima dal vedutismo di maniera in cui sempre più spesso ci si imbatte e che antepone il nudo paesaggio alla capacità di interpretarlo, aiuta Nunzio a cogliere meglio la realtà, a farsi sedurre dai messaggi che disegnano le nuvole, a giocare nel teatro definito da muri diroccati e quinte rosse di fari metallici, a fermarsi davanti alle soglie più disparate: il segno netto fra ombra e sole, una sbarra oltre la quale un pontile appare ancor più lontano, gradini davanti alle porte, interni di case intuiti da dietro la leggera protezione di una tenda di stoffa. Quando poi nelle case l'obiettivo riesce ad entrare, sa ancora fermarsi sorpreso di fronte al veliero posato su un frigorifero aperto come volesse raccontare una storia di simboli strani, di miti sconosciuti dal significato impenetrabile. Il mondo dominato dalla Necessità - l'Ananke di cui gli antichi greci non avevano immaginato l'aspetto né previsto templi - ed è questa a lasciare messaggi intensi come misteri: sulla spiaggia abbandona una piuma, un osso di seppia, una sequenza di vertebre pulite dal mare. Noi le osserviamo, passeggiamo sulla sabbia e col piede scostiamo un sasso o rovesciamo una conchiglia.
Poi solleviamo lo sguardo e lo puntiamo verso l'orizzonte stringendo forte gli occhi fino a sentire un po' di dolore ma anche un profumo intenso fatto di pomodori che seccano al sole, valve di cozze che si schiudono impudiche, alghe che vengono a morire stremate sul bagnasciuga; un insieme sensuale e dolente come sono sempre i ricordi immersi in quello strano ronzio che fa il sole quando batte impietoso sui nostri pensieri.

Roberto Mutti,
in Immaginanti,
Centro Stampa Agip, San Donato Milanese 1998


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