"Tutta la disponibilità dell'universo
è nella docilità delle tue pupille. Con lo sguardo che
si spegne, devi sapere, si spegne subito l'infinito."
(Edmond Jabés, Il libro dell'ospitalità)
Nunzio Battaglia ha reso docili le sue
pupille, non ha spento il suo sguardo.
Il mondo, la Sicilia, sono ormai divenuti una congerie caotica di
parti composite e mutanti, dove ogni cosa è mediata, contaminata,
ibridata. Come raccontare questa inafferrabile geografia atopica e
disseminata?
Come narrarne il divenire continuo?
E' stato detto che le buone fotografie catturano il mondo. Ma non
è più possibile ormai questa operazione di presa sulla
realtà: fattosi caotico, il mondo non si lascia afferrare o
catalogare; e vano si rivela il tentativo di rinchiuderlo in una storia
con un inizio e una fine.
Oggi, chi attacca per primo è perduto: se ti getti sulle cose,
per ghermirle e dichiararle tuo possesso, non ti rimarrà in
mano null'altro che il loro evanescente simulacro. Come raccontare
allora questo mondo che ci sfugge? Strategia della narrazione infinita,
strategia della prossimità e dell'accoglienza.
Il racconto di Nunzio Battaglia si moltiplica in mille frammenti traversati
dai ricordi e dagli affetti, dalla storia e dal presente: la piuma
di un uccello sulla sabbia del mare, un campo bruciato e il fumo bianco
di una ciminiera in lontananza, il circo con un leone e un pagliaccio,
giocattoli di plastica affacciati su un pontile semidistrutto dalle
bombe degli Alleati, la campagna, la torre di Manfria, le mura greche,
i fichi d'india che maturano al sole... Frammenti in apparenza dissimili,
e però capaci di formare una costellazione, nutriti come sono
da mille rimandi e assonanze.
Il suo sguardo vagante, assiduo ma sempre gentile, procede tra inquadrature
ora centrali, ora leggermente decentrate e un po' sbilanciate; in
ogni caso accoglienti. Il colore non è mai aggressivo: carezza
la terra di Sicilia, trascolora verso una soffusa lievità.
Le sue immagini, dunque, non descrivono, non identificano: sono invece
percorse dalle voci e dai silenzi: il lieve sussurro di una storia
passata, il mormorio del vento che agita la sabbia, l'ultimo tremolio
di un'impronta semicancellata.
Rimanere in silenzio nel mondo che tace e si allontana: è proprio
accettando fino in fondo l'evanescenza del reale, che il nostro sguardo
si dilata, mentre le cose sembrano protendersi per rivelare il loro
linguaggio nascosto e indicibile. Fermarsi, tacere, rinunciare alla
presa sulla realtà, ma continuare con tenacia e amabilità
a osservare il mondo: Nunzio Battaglia ci invita a fare questa esperienza.
Scopriremo allora che le cose invertono il loro percorso: invece di
fuggir via, si approssimano, ci chiamano, ci invitano: entrano in
risonanza coi ricordi, diventano immagine e simbolo del nostro sentire.
Un crescere silenzioso dello sguardo nella muta prossimità
alle cose. Una prossimità che sposta il senso ovvio, predeterminato
delle cose e opera uno scarto rispetto a quanto ci sembrava certo
e scontato. Rinunciare alla presa, aspettare, lasciare che le cose
ritornino a noi sotto una luce inaspettata.
Questo sguardo interrogante, disponibile, accogliente, è forse
simile a quello del viaggiatore che ritorna (e Nunzio è partito
e ritornato a Gela). Viaggiatore spaesato che scopre il mondo di un
tempo immerso in un'altra luce, viaggiatore attento e stupito, che
scopre inedite armonie, inattese delicatezze, proprio nei luoghi di
un tempo, ora investiti dalla modernità.
Le immagini di Nunzio Battaglia sono sempre rispettose: non disperdono
l'ordine delle cose, non intendono scompaginare il reale, per aggiungervi
un senso fittizio: si limitano a ostendere davanti ai nostri occhi
frammenti di mondo. Quel mondo che era lì, di fronte a noi,
ma non riuscivamo a vedere.
Gigliola Foschi,
in Immaginanti,
Centro Stampa Agip, San Donato Milanese 1998
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