Caro Nunzio, lo sai anche tu. Le cose
muoiono prima dentro. Fuori è tutta un'altra velocità.
Un'altra categoria di sentimenti che si sovrastano e si sovrappongono.
Imprendibili e comunque spesso già dimenticati.
E il tuo è un lavoro sulla memoria, sul ritorno, sul recupero
dei pensieri laterali. Sulle cose lasciate e sul desiderio di ritrovarle.
Ti muovi con l'ansia dell'esteta e, anche tu, la pensi come Predrag
Matvejievic.
Anche tu credi che il Mediterraneo, più che un'idea, più
che un luogo, sia invece un destino.
Anche questa volta sei riuscito a rendere le tracce del tuo percorso
così leggere che ogni prova di verità sarà impossibile
da decifrare, perché sarà soltanto la tua verità.
Hai fatto bene, perché la tua memoria la devi proteggere, la
devi difendere.
La tua fotografia si allontana dalla sua stessa esistenza di realtà
e a noi non resta che il piacere di guardarla.
Un piacere che non basta mai.
Con le cose manuali, a volte, qualcuno, riesce ad esprimere affetto,
nostalgia, possesso. Sappiamo che durano nel tempo, che la loro origine
è meccanica.
La contemplazione non ha sua vita, pone dei limiti. Il tuo Mediterraneo
ti è entrato nel sangue e in un certo momento ti ha chiesto
di essere guardato e tu, con il beneficio della quinta marcia, hai
viaggiato con il cuore in gola. Hai sentito il richiamo e hai sorriso
con gli occhi lasciando ferme le mani sui fianchi. Sapevi però
che il mare andava guardato dritto, con aria di sfida e senza melanconia.
Non so perché, ma io ho in mente una roba da guerrieri. Gente
che sa reggere gli sguardi, che non sbatte le ciglia, che non ha mai
la bocca asciutta dalla paura.
Mica dei duri e nemmeno dei muri. Soltanto tensioni allineate che
ti fanno capire i segni di certe facce, che racchiudono certi sogni
e lasciano capire i desideri di tutta una vita.
Laggiù, verso la linea dell'orizzonte si mischiavano i colori
e pian piano emergeva il bisogno selvaggio di cambiare le cose, di
frugare nei cassetti, di conoscere il passato, di annusare il futuro,
di amare il presente, di lasciar sgorgare l'imperfetto.
Avevi capito che l'azione per l'azione non aveva senso.
Adesso che hai finito di scattare le fotografie. Adesso che le hai
ordinate, ingrandite o rimpicciolite, devi trovare il coraggio di
montare una storia, non per farci capire di più, ma perché
queste appartengano sempre più a te stesso.
Io credo che il tuo percorso debba seguire l'istinto. A volte, per
la tua dinamica fissità, per la tua maniacale progettualità,
ho pensato e invidiato il tuo privilegio di riuscire a vivere dentro
i tuoi stessi pensieri.
Da quel luogo così intimo, vien fuori la ricerca delle possibili
complicità. Da quel luogo sei partito e ti sei votato al desiderio
di essere sempre in un altro posto. A me restano le tue immagini.
Resta il bisogno di fare ordine tra i passi in avanti e i passi indietro
e mi accorgo che le cose cambiano, così come cambiano le tue
fotografie, ora composte di un'intimità sgretolata come la
storia che riuscirai a raccontare.
Denis Curti,
in Immaginanti,
Centro Stampa Agip, San Donato Milanese 1998
|