di Denis Curti

Caro Nunzio, lo sai anche tu. Le cose muoiono prima dentro. Fuori è tutta un'altra velocità. Un'altra categoria di sentimenti che si sovrastano e si sovrappongono. Imprendibili e comunque spesso già dimenticati.
E il tuo è un lavoro sulla memoria, sul ritorno, sul recupero dei pensieri laterali. Sulle cose lasciate e sul desiderio di ritrovarle.
Ti muovi con l'ansia dell'esteta e, anche tu, la pensi come Predrag Matvejievic.
Anche tu credi che il Mediterraneo, più che un'idea, più che un luogo, sia invece un destino.
Anche questa volta sei riuscito a rendere le tracce del tuo percorso così leggere che ogni prova di verità sarà impossibile da decifrare, perché sarà soltanto la tua verità.
Hai fatto bene, perché la tua memoria la devi proteggere, la devi difendere.
La tua fotografia si allontana dalla sua stessa esistenza di realtà e a noi non resta che il piacere di guardarla.
Un piacere che non basta mai.
Con le cose manuali, a volte, qualcuno, riesce ad esprimere affetto, nostalgia, possesso. Sappiamo che durano nel tempo, che la loro origine è meccanica.
La contemplazione non ha sua vita, pone dei limiti. Il tuo Mediterraneo ti è entrato nel sangue e in un certo momento ti ha chiesto di essere guardato e tu, con il beneficio della quinta marcia, hai viaggiato con il cuore in gola. Hai sentito il richiamo e hai sorriso con gli occhi lasciando ferme le mani sui fianchi. Sapevi però che il mare andava guardato dritto, con aria di sfida e senza melanconia.
Non so perché, ma io ho in mente una roba da guerrieri. Gente che sa reggere gli sguardi, che non sbatte le ciglia, che non ha mai la bocca asciutta dalla paura.
Mica dei duri e nemmeno dei muri. Soltanto tensioni allineate che ti fanno capire i segni di certe facce, che racchiudono certi sogni e lasciano capire i desideri di tutta una vita.
Laggiù, verso la linea dell'orizzonte si mischiavano i colori e pian piano emergeva il bisogno selvaggio di cambiare le cose, di frugare nei cassetti, di conoscere il passato, di annusare il futuro, di amare il presente, di lasciar sgorgare l'imperfetto.
Avevi capito che l'azione per l'azione non aveva senso.
Adesso che hai finito di scattare le fotografie. Adesso che le hai ordinate, ingrandite o rimpicciolite, devi trovare il coraggio di montare una storia, non per farci capire di più, ma perché queste appartengano sempre più a te stesso.
Io credo che il tuo percorso debba seguire l'istinto. A volte, per la tua dinamica fissità, per la tua maniacale progettualità, ho pensato e invidiato il tuo privilegio di riuscire a vivere dentro i tuoi stessi pensieri.
Da quel luogo così intimo, vien fuori la ricerca delle possibili complicità. Da quel luogo sei partito e ti sei votato al desiderio di essere sempre in un altro posto. A me restano le tue immagini. Resta il bisogno di fare ordine tra i passi in avanti e i passi indietro e mi accorgo che le cose cambiano, così come cambiano le tue fotografie, ora composte di un'intimità sgretolata come la storia che riuscirai a raccontare.

Denis Curti,
in Immaginanti,
Centro Stampa Agip, San Donato Milanese 1998


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