Avvistamenti: da un cartellone pubblicitario o da un calco di gesso,
dalla forma rotonda di un salvagente o dalla vitrea superficie di
un televisore - l'occhio trasparente e vago che ci osserva dalle fotografie
di Nunzio Battaglia diventa come un invito a fare nostro, e ripetere
specularmente, quello stesso sguardo che con premura si posa sui silenziosi
oggetti raccolti in queste immagini.
Sono oggetti evocanti mari lontani, incerti orizzonti, la quiete che
precede o segue un lungo viaggio: congiunti l'uno all'altro da una
sottile rete di rimandi, sembrano intrattenere fra loro un muto dialogo.
Che si tratti di vele in disuso o scafi in disarmo, di muri scrostati
o pavimenti segnati da un'umile sporcizia, questi oggetti paiono lievemente
carezzati da colori tiepidi e silenti: quasi un trascolorare del colore
verso una immateriale lievità.
Un simile oniroide "trans-colore", sospeso a mezza via fra
una luce congelata, abbacinata, e le ombre di un malinconico letargo,
non lo incontriamo mai negli oggetti usuali di ogni giorno e però
ci accorgiamo che appartiene alla sostanza intrinseca, all'anima nascosta
dell'oggetto stesso. Ciò significa che lo sguardo delicato
e salvifico presente nelle foto di Battaglia è riuscito a cogliere
il momento in cui l'anima riposta degli oggetti esce nella luce, si
fa vedere. È come se Battaglia avesse fotografato il lungo
istante in cui gli oggetti -questi poveri manufatti inerti, abbandonati,
immobilizzati nel momento in cui non servono più- esalano la
loro umilissima anima, la lasciano trascolorare in superficie, la
lasciano vagolare dentro quel che potremmo chiamare il tremulo e sommesso
oltremondo delle cose. Un mansueto, dimesso aldilà che, malgrado
un certo sentore di malinconia, non comunica mai un senso di tristezza,
semmai di incanto.
È infatti un limbo, un erebo, dotato di una sua strana, languida
spazialità, una docile profondità prospettica, leggermente
decentrata e priva di punto di fuga, un po' sbilanciata, e però
accogliente.
Un mondo infraumano, che vien voglia di attraversare, assumendo pure
noi quello sguardo premuroso che ha permesso a Battaglia di cogliere
e salvare la misteriosa dimensione dentro cui gli oggetti continuano
a persistere, allorché l'uomo li abbandona.
Gigliola Foschi,
in Avvistamenti,
Il diaframma - Kodak Cultura 1995, Milano,
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